14 ottobre 2009

E le ultime uscite discografiche?


Il 18 settembre è uscito l'album che da circa un anno mi preoccupava e al contempo mi faceva sorridere ad ogni nuova rivelazione: The Days of Grays dei Sonata Arctica. Tantissime le speculazioni gratuite che avevamo partorito io e mia sorella: parlerà degli extraterrestri? sarà un ritorno al power? seguirà la scia di Unia? sarà ancora più contorto di Unia? E Caleb?
Devo ammettere che avevo molta paura di rimanere delusa, sia per l'assenza di Jani, sia perché mi ci è voluto circa un anno per riuscire a digerire Unia. Così, quando ho sentito i singoli The Days of Grays e Flag in the Ground sono rimasta assolutamente spiazzata da due pezzi che mi ricordavano i primi Sonata Arctica e che poco avevano a che fare con gli ultimi lavori (ho poi scoperto che Flag in the Ground era stata composta già nel 1996!). A quel punto - eravamo a fine agosto - mi aspettavo, se non un altro Silence, un album alla Winterheart's Guild, un power sì ricercato ma pur sempre power.
Mai aspettativa fu più sbagliata: i Sonata Arctica hanno proposto come singoli le due canzoni più orecchiabili dell'album, ma anche, secondo me, le meno rappresentative. L'ascoltatore che si aspetta di trovare in The Days of Grays una serie di variazioni sul tema dei due singoli rimarrà deluso. L'album segue in gran parte la strada sperimentale di Unia, ma è un prodotto più maturo e che aggiunge ancora nuovi elementi, primo fra tutti la partecipazione di una voce femminile, la bravissima Johanna Kurkela. Unica nota su cui rimango scettica è la scelta di Elias Viljanen, che mi pare si limiti a riproporre una copia sbiadita dello stile di Jani senza introdurre niente di personale.
Non mi rimane molto altro da dire, se non che The Days of Grays si sta già contendendo il titolo di album preferito della band con il mio primo amore Winterheart's Guild.

Voto
: 9
Tracce segnalate: vorrei dire tutte, ma mi limiterò alle meno ovvie Zeroes, The Dead Skin, As if the World Wasn't Ending, In the Dark.





Il 21 settembre scorso è uscito un album che aspettavo dall'estate: The Big Machine, ultimo lavoro della cantautrice francese Émilie Simon. Lo stile è quello a cui ci ha abituati, un pop elettronico, che forse in questo lavoro diventa più orecchiabile, togliendo qualche influenza prog. Ma ciò che veramente stupisce è la maturazione vocale di Émilie: scompare quasi completamente la vocina infantile e sottile dei primi album - salvo in qualche pezzo - per lasciare spazio ad un timbro più maturo, più pieno, decisamente più spinto.
Il cambiamento può piacere o non piacere, io personalmente sono felicissima di quest'album, dimostrazione che il successo raggiunto con La Marche de l'Empereur e Végétal non ha dato luogo ad un lavoro-fotocopia degli altri, ma ad un disco nuovo, innovativo e godibilissimo.

Voto
: 8
Tracce segnalate
: Dreamland, Ballad of the Big Machine, The Devil at my Door, Rocket to the Moon.





Uscirà dopodomani, ma ammetto di averlo già ascoltato, Design Your Universe, quarto album in studio degli Epica. Lo aspettavo? Sì e no. gDa un lato gli Epica sono una band che ho amato moltissimo, dall'altro le ultime esibizioni live mi avevano lasciato l'amaro in bocca per più di una ragione.
Ammetto anche di aver ascoltato l'album solo una volta, ma la rabbia è stata talmente tanta che mi è passata la voglia di dedicargli un ascolto più approfondito. A parte la monotonia della struttura, che ricalca quella dei lavori precedenti fatta eccezione per una suite in più, quello che secondo me non funziona (e aveva cominciato a non funzionare da The Classical Conspiracy) è Simone Simons.
È vero che Simone ha cominciato a cantare negli Epica a 17 anni e sono consapevole che non aveva una voce matura, che con gli anni il timbro e la tessitura cambiano, che il symphonic non è più sempre e solo il symphonic come l'hanno fatto i vecchi Nightwish, e tutte le altre cose che tutti i fan continuano a ripetere. Ma il mio giudizio - assolutamente soggettivo - è che la Simone Simons diciassettenne e immatura che cantava in The Phantom Agony e poi in Consign to Oblivion mi emozionava e mi dava un'idea di fusione con la musica della band che la Simone Simons di Design Your Universe non riesce a comunicarmi. Le ragioni? Quando usa il belting sembra una copia (scarsa) dell'ultima Floor Jansen (e se veramente a fine ottobre suoneranno insieme il confronto sarà impari e l'ago della bilancia penderà senza dubbio a favore di quest'ultima); nelle ballad la voce di Simone, che io amavo piena e armonica, si riduce ad una specie di rantolo che mi ricorda la Première Femme "Carlà Brunì", che avrà tante doti ma non quella del bel canto. Ora, il giudizio non è soltanto sulla voce di Simone in sé: a me piacciono Janis Joplin, Émilie Simon, a volte ascolto la stessa Carla Bruni, tutte voci assolutamente non canoniche e non particolarmente educate. A me continuano a non convincere due cose: innanzitutto non si capisce più quali sono la vera voce e il vero timbro di Simone; in secondo luogo queste nuove tecniche adottate non hanno niente a che fare con le orchestre, con i cori, con lo spirito della band. Per me (e sottolineo PER ME) è la stessa sensazione di Anette Olzon che canta Kuolema: non è che la canti male o che sia stonata (sì, in parte lo è -.-'), è che non ci azzecca proprio. O se preferite pensate all'interpretazione di Cecilia Bartoli di Agitata da due venti: lei è bravissima, per carità, ma rende lo spirito di Vivaldi?
Ecco, la delusione per l'interpretazione di Simone è stata così tanta (ma ripeto, gli ultimi live me l'avevano fatto presagire) che non ho avuto la voglia di soffermarmi né sul songwriting né sull'ottimo apporto e sul rinnovamento introdotti da Isaac. Probabilmente nel giro di un mese mi sarà passata e a mente più fredda e lucida riascolterò il disco e mi piacerà come tutti gli altri, ma per ora la prima impressione mi è stata fatale. Negativamente.

Voto
: non pervenuto.